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L’amurusanza, di Tea Ranno

“L’ammurusanza ti compariva negli occhi e io dovevo calare i miei perché non ero degno di te, della dolcezza che ti usciva dalla bocca quando mi parlavi e mi ridevi e facevi sembrare bella pure una giornata di merda. Era bello e non lo sapevo. Cosa normale mi pareva, cosa senza importanza. E ora ne sentii la mancanza, lo capii quello che persi…”

La bellezza di questo libro comincia dal titolo: L’amurusanza. Una parola siciliana dal suono d’altri tempi, che comunica benevolenza e amore. Infatti, è proprio l’amurusanza a determinare la realtà degli eventi e pagina dopo pagina diventa protagonista insinuandosi nei gesti, nelle situazioni, nei comportamenti tanto da rappresentare il cambiamento e la rinascita.

La narrazione si svolge in un Borgo siciliano di cinquemila abitanti, vicino Catania, che si erge su una collina dominando il mare. A spiccare sulla piazza ci sono il Municipio e la Tabaccheria di Agata e Costanzo, unici punti di riferimento e di chiacchiere.

Siamo negli anni novanta e la comunità del Borgo è pervasa da un disagio sociale enorme. Tra i cittadini campeggia l’ignoranza e il vivacchiare; si trascorre il tempo a spettegolare e a sottomettersi a una politica distruttiva. I politici, infatti, vestiti di onnipotenza e sventolando false promesse accumulano consensi e mazzette solo con l’imbroglio.

“Gentazza che razziava la roba degli altri e faceva il bello e cattivo tempo.”

Tutta questa cattiveria tra i “proci” del municipio e l’omertà tra le anime del borgo disturba Costanzo, che con le sue idee cerca di non farsi scippare la libertà e soprattutto la Saracina.

La Saracina è un piccolo pezzo di paradiso, coltivato ad aranci e limoni, e l’intento del sindaco, detto Occhi Janchi, e dalla sua cricca di “anime nere” è di trasformarla in una discarica.

Lo smaltimento della spazzatura è la nuova fonte di guadagno, che nelle mani corrotte e sbagliate avrebbe portato molti soldi alle casse del municipio. La gente che ha “il culo ‘mpicchiato alle segge” è mala erba, costruiscono trappole con promesse, e chi osa chiedergli un favore lo legano al guinzaglio per sempre.

Costanzo non vuole diventare pupo del sindaco e la sua terra non sarebbe mai diventata un buco per i rifiuti. Questa sua convinzione è portata avanti con le idee e la collera, ed è proprio quest’ultima a penalizzarlo. Infatti, muore troppo presto perché il suo cuore non regge alla rabbia.

Agata diventa, così, bersaglio del sindaco e dei suoi scagnozzi. Talmente ammaliati dal suo corpo che la posseggono con ardore attraverso la loro mente.

La scarnivano con occhi feroci di passione: “le minne che colmano la stoffa, le gambe, le caviglie, i capelli di seta, gli occhi celesti, la bocca rossa, il culo superbo.” Volevano conquistarla solo per prendersi la soddisfazione che quella donna non era stata solo del “di quel bastardo comunista.”

Agata e Costanzo si erano innamorati subito, senza troppi inganni e giri di parole. Lei era stata sedotta dai suoi discorsi infuocati in piazza: il desiderio per un’Italia nuova l’avevano travolta. Lui non riusciva a comprendere cosa provasse quella donna, perché nulla lasciava trasparire. Agata “voleva godere in solitudine quel principio d’amore, voleva bruciarne non come una bracciata di paglia, ma come un ceppo che, preso finalmente fuoco, può durare un’eternità.”

Purtroppo la loro felicità durò solo due anni.

La rabbia di Costanzo non finisce con la sua morte, ma si insinua in Agata, che affiancata da inaspettati alleati comincerà una lotta di resistenza contro chi si è appropriato illecitamente del potere. Insieme attraverso le buone azioni, la gentilezza, buon cibo e a colpi di poesia cercheranno di riconquistare la propria autonomia e indipendenza.

Questo libro mi ha letteralmente sedotta, mi ha fatto sorridere, commuovere e riflettere.

Il fulcro della narrazione non è solo Agata, delineata come una donna forte e battagliare, ma è l’intera comunità sorretta da questa bellissima parola: amurusanza. L’autrice con arte sopraffina descrive un carosello di personaggi che emerge con una propria essenza identitaria, resa credibili perché sono riuscita a visualizzarli cogliendo ogni aspetto: fisico, caratteriale e psicologico. Ognuno di loro si muove come un attore su un palcoscenico, arricchito da locuzioni siciliane che non infastidiscono il lettore, ma ammaliano.

Luisa Montalto, detta Piangimorti, perché non manca a nessun funerale, è malata di “solità” una parola che meglio rappresentava la solitudine della sua anima. Tonino Scianna, un professore di lettere che ama scrivere in segreto poesie e prova un forte sentimento per la giovane Violante, un amore sincero che gli offusca la mente. E poi Elisabetta, un’erborista che elabora pietanze che sono un toccasana per l’anima e il corpo.

Il destino di questi personaggi insieme ad Agata e a un’intera comunità cercherà con forza di combattere un potere fatto di truffe e mazzette, riprendendosi la propria vita e dignità.

“Parola d’ordine ci vuole, mio Signore, per accedere alle stanze della vita, parola stramma di desiderio e ardimento che squaglia il gelo e splende sparpaglio di bellezza e luce. La sapesse, Vossia, quella parola? La covasse da mill’anni in petto?” “Amurusanza” fa lui senza esitazione. E le porte si spalancano e il sole ride e la vita canta.”

Buona Lettura 📚

Autore:

La lettura è terapeutica. Ogni libro che leggiamo coincide con un momento preciso della nostra vita.