Editori: Mondadori
Sinossi
L’estate avvampa a Palermo, la terra è arida e i bacini a secco. Dai rubinetti, come sempre in agosto, l’acqua scende appena, sui marciapiedi l’immondizia fermenta rendendo l’aria irrespirabile, e a nulla servono preghiere e invocazioni a santa Rosalia affinché faccia piovere. I poveri si muovono nei bassi come fantasmi nella polvere, i più abbienti hanno già lasciato i quartieri alti per le loro ville al mare. Nell’attesa della festa in onore della patrona della città, Marò, da poco promossa a capo del gruppo “antifemminicidio”, porta avanti con riluttanza una nuova complessa indagine su un omicidio avvenuto il giorno di Ferragosto. Non attraversa un periodo felice, la commissaria. La promozione, anziché gratificarla, l’ha resa insicura, come non si sentisse all’altezza di quella nuova responsabilità – e in cuor suo desidera smettere “la pesante divisa da poliziotta, per vestire i panni più leggeri della cuciniera” -; la turbolenta relazione con Sasà, sempre più intrattabile da quando il questore l’ha spedito in un sonnacchioso commissariato dove nulla funziona e nulla accade, pare volgere al tramonto fra risentimenti, incomprensioni e défaillance sessuali. Gli anni passano veloci, troppo, e forse quell’uomo bizzoso, un tantino rozzo e grossolano, è l’ultima possibilità che le rimane di crearsi una famiglia. È per questo, perché la sua vita è a un punto morto, che Marò avrebbe preferito non occuparsi del caso? Intanto l’indagine, inaspettatamente, le sta mettendo sotto il naso man mano elementi che sembrano avere bizzarre implicazioni con la sua vita privata. Quale svolta l’attende in fondo a questa estate “che non lascia presagire nulla di buono”?
RECENSIONE
I libri di Giuseppina Torregrossa, sono sempre molto sensuali e avvolti da un alone di mistero, ma anche colmi di profumi e colori della sua amata Sicilia. Le donne, passionali e carnali, sono le vere protagoniste delle sue storie, apparentemente deboli, trovano l’audacia di emergere e sopravvivere, superando i pregiudizi e apprezzando le proprie capacità, minate da uomini patriarcali. Infatti, con intensità e erotismo avvince il lettore, scrivendo pagine di sentimenti e eros, sensazioni che le sue protagoniste trasmettono anche nella preparazione di pietanze ricercate e succulente.
L’estate, eterna come l’inferno e assetata, che infiamma la città di Palermo rende l’aria irrespirabile, ma con l’arrivo del ferragosto i cittadini si rianimano sperando in un miracolo della Madonna dell’Assunta per un po’ di pioggia.
Ed ecco che: “Le madri sfrigolavano l’olio bollente; nelle padelle si formavano le melanzane, zucchine, ciuri di cucuzza. Immensi di timballi di anelletti, generose teglie di sfincione cuocevano nel forno. Cipolle, aglio e sedano sobbollivano i insieme con carne tritata e pomodoro, si spandeva la loro fragranza nelle cucine umide…”
E mentre la città si spopola, a Palazzo Galletti, dove tra meravigliose statue, intonaci recenti, e la fragranza fresca e golosa del basilico, prospera sui davanzali con ogni tipo di varietà, si consuma un atroce delitto.
“Terra di nessuno per molto tempo, l’edificio era stato occupato negli anni passati da improvvisi senzatetto che avevano rovinato gli affreschi con vernici indelebili. Il palazzo era stato il regno delle prostitute.”
A risolvere questa matassa sarà il vice questore Maria Teresa Pajno, la quale trova la vittima, Giulia Arcuri, con “la faccia appoggiata sul pavimento immersa in una pozza scura, le spalle contratte in uno sforzo estremo che perdurava oltre la morte”, vestita solo di un paio di sandali dal tacco sottile.
Ed ecco che si apre uno scenario, dove i personaggi, imperfetti e imprevedibili, ci regalano tanta umanità e solidarietà femminile, rendendo la storia più coinvolgente e realistica.
Nel libro l’autrice ci regala una descrizione aggraziata di Palermo, ma anche disordinata dove le regole non si rispettano. Per mano, ci conduce tra i vicoli colorati e profumati, dall’atmosfera vivace che evoca passato e presente, come se fosse un meraviglioso affresco.
Le atmosfere siciliane continuano utilizzando espressioni tipiche dialettali siciliane, che profumano di vita e quotidianità.
Questo romanzo è un noir passionale e intrigante, ma anche commovente. Infatti, ho trovato straziante la parte in cui donna Margherita lava e riveste il corpo spento di sua figlia: “era stata la sua principessa e le fate invidiose l’hanno addormentata per sempre.”
Dopo aver acconciato in una treccia la sua bellissima chioma, e vestita con l’abito di seta e i sandali di Jimmy Choo, donna Margherita si stede vicino a sua figlia e comincia a cantare un’antica ninna nanna:
“Avòò, l’ammuri mio, ti vogghiu beni, l’ucchiuzzi di me figlia, su sireni, oh…Chi avi la figghia mia ca sempre cianci, voli fattu la naca, menzu l’aranci. Oh…Specchiu di l’occhi mia, facci d’aranciu, ca mancu ‘ppun tesoru iu ti cangiu. Oh…Sciantu di l’arma mia, faciuzza bedda, la mamma t’ava fari munachedda . Oh… E munachedda di lu Sarvaturi, unni ci stannu i nobili e i signori. Oh… Ora s’addumisci la figghia mia, guardatimilla vui, Matri Maria.”
La voce vibrate e straziante di donna Arcuri è talmente percettibile che prende vita attraverso questo canto, suscitando al lettore compassione, tant’è che la sofferenza ti assale con rabbia bloccandoti il respiro.
Buona lettura.