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Il basilico di Palazzo Galletti.

Editori: Mondadori

Sinossi
L’estate avvampa a Palermo, la terra è arida e i bacini a secco. Dai rubinetti, come sempre in agosto, l’acqua scende appena, sui marciapiedi l’immondizia fermenta rendendo l’aria irrespirabile, e a nulla servono preghiere e invocazioni a santa Rosalia affinché faccia piovere. I poveri si muovono nei bassi come fantasmi nella polvere, i più abbienti hanno già lasciato i quartieri alti per le loro ville al mare. Nell’attesa della festa in onore della patrona della città, Marò, da poco promossa a capo del gruppo “antifemminicidio”, porta avanti con riluttanza una nuova complessa indagine su un omicidio avvenuto il giorno di Ferragosto. Non attraversa un periodo felice, la commissaria. La promozione, anziché gratificarla, l’ha resa insicura, come non si sentisse all’altezza di quella nuova responsabilità – e in cuor suo desidera smettere “la pesante divisa da poliziotta, per vestire i panni più leggeri della cuciniera” -; la turbolenta relazione con Sasà, sempre più intrattabile da quando il questore l’ha spedito in un sonnacchioso commissariato dove nulla funziona e nulla accade, pare volgere al tramonto fra risentimenti, incomprensioni e défaillance sessuali. Gli anni passano veloci, troppo, e forse quell’uomo bizzoso, un tantino rozzo e grossolano, è l’ultima possibilità che le rimane di crearsi una famiglia. È per questo, perché la sua vita è a un punto morto, che Marò avrebbe preferito non occuparsi del caso? Intanto l’indagine, inaspettatamente, le sta mettendo sotto il naso man mano elementi che sembrano avere bizzarre implicazioni con la sua vita privata. Quale svolta l’attende in fondo a questa estate “che non lascia presagire nulla di buono”?

RECENSIONE

I libri di Giuseppina Torregrossa, sono sempre molto sensuali e avvolti da un alone di mistero, ma anche colmi di profumi e colori della sua amata Sicilia. Le donne, passionali e carnali, sono le vere protagoniste delle sue storie, apparentemente deboli, trovano l’audacia di emergere e sopravvivere, superando i pregiudizi e apprezzando le proprie capacità, minate da uomini patriarcali. Infatti, con intensità e erotismo avvince il lettore, scrivendo pagine di sentimenti e eros, sensazioni che le sue protagoniste trasmettono anche nella preparazione di pietanze ricercate e succulente.

L’estate, eterna come l’inferno e assetata, che infiamma la città di Palermo rende l’aria irrespirabile, ma con l’arrivo del ferragosto i cittadini si rianimano sperando in un miracolo della Madonna dell’Assunta per un po’ di pioggia.
Ed ecco che: “Le madri sfrigolavano l’olio bollente; nelle padelle si formavano le melanzane, zucchine, ciuri di cucuzza. Immensi di timballi di anelletti, generose teglie di sfincione cuocevano nel forno. Cipolle, aglio e sedano sobbollivano i insieme con carne tritata e pomodoro, si spandeva la loro fragranza nelle cucine umide…”

E mentre la città si spopola, a Palazzo Galletti, dove tra meravigliose statue, intonaci recenti, e la fragranza fresca e golosa del basilico, prospera sui davanzali con ogni tipo di varietà, si consuma un atroce delitto.
“Terra di nessuno per molto tempo, l’edificio era stato occupato negli anni passati da improvvisi senzatetto che avevano rovinato gli affreschi con vernici indelebili. Il palazzo era stato il regno delle prostitute.”

A risolvere questa matassa sarà il vice questore Maria Teresa Pajno, la quale trova la vittima, Giulia Arcuri, con “la faccia appoggiata sul pavimento immersa in una pozza scura, le spalle contratte in uno sforzo estremo che perdurava oltre la morte”, vestita solo di un paio di sandali dal tacco sottile.
Ed ecco che si apre uno scenario, dove i personaggi, imperfetti e imprevedibili, ci regalano tanta umanità e solidarietà femminile, rendendo la storia più coinvolgente e realistica.

Nel libro l’autrice ci regala una descrizione aggraziata di Palermo, ma anche disordinata dove le regole non si rispettano. Per mano, ci conduce tra i vicoli colorati e profumati, dall’atmosfera vivace che evoca passato e presente, come se fosse un meraviglioso affresco.
Le atmosfere siciliane continuano utilizzando espressioni tipiche dialettali siciliane, che profumano di vita e quotidianità.
Questo romanzo è un noir passionale e intrigante, ma anche commovente. Infatti, ho trovato straziante la parte in cui donna Margherita lava e riveste il corpo spento di sua figlia: “era stata la sua principessa e le fate invidiose l’hanno addormentata per sempre.”
Dopo aver acconciato in una treccia la sua bellissima chioma, e vestita con l’abito di seta e i sandali di Jimmy Choo, donna Margherita si stede vicino a sua figlia e comincia a cantare un’antica ninna nanna:
“Avòò, l’ammuri mio, ti vogghiu beni, l’ucchiuzzi di me figlia, su sireni, oh…Chi avi la figghia mia ca sempre cianci, voli fattu la naca, menzu l’aranci. Oh…Specchiu di l’occhi mia, facci d’aranciu, ca mancu ‘ppun tesoru iu ti cangiu. Oh…Sciantu di l’arma mia, faciuzza bedda, la mamma t’ava fari munachedda . Oh… E munachedda di lu Sarvaturi, unni ci stannu i nobili e i signori. Oh… Ora s’addumisci la figghia mia, guardatimilla vui, Matri Maria.”

La voce vibrate e straziante di donna Arcuri è talmente percettibile che prende vita attraverso questo canto, suscitando al lettore compassione, tant’è che la sofferenza ti assale con rabbia bloccandoti il respiro.

Buona lettura.

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Il mare intorno all’isola

Ciao circolo,

oggi vi consiglio la lettura perfetta per il weekend autunnale in arrivo.

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Veronika è una donna soffocata da un matrimonio troppo ingombrante. Kostas è stato un pescatore in un mare dal quale non riesce più a far riemergere i suoi sogni. Il loro incontro casuale, nel meraviglioso scenario del Mar Egeo, diventerà un crocevia dal quale prendere la strada giusta sarà tutt’altro che semplice. Una strada fra tante, laddove tutto sembra un caso ma, in realtà, stava scritto da sempre tra le pagine del destino. Una strada che finisce per perdersi nel nulla, fino a diventare un mistero da risolvere. Riuscirà, la tranquilla isola di Koufonissia, a rimanere indifferente ai turbamenti che minacciano la sua pace senza tempo?

 

“Quando erano ragazzi, nei pomeriggi liberi fuori della scuola, trascorreva tutto il suo tempo leggendo, sempre un passo distante dai suoi amici che invece preferivano impiegarlo in attività senz’altro più divertenti. Non era raro scorgerlo seduto in un cantone e, con in mano un libro, riuscire a mantenere la concentrazione per dedicarsi alla lettura, mentre i suoi coetanei rincorrevano urlando un pallone o quando, d’estate, sguazzavano in mare. Se gli altri si dedicavano alla pesca dei mitili o di piccoli crostacei al largo degli scogli, era capace di seguirli fino sulla barca, rimanendo però seduto a bordo con il suo immancabile libro. Per gli altri ragazzi quella era la normalità e, dopo i primi anni in cui cercarono di dissuaderlo da questa sue manie un po’ asociali, si accontentarono della sua inerte compagnia. Adesso che era ormai un uomo adulto, non aveva perso la sua passione e non era insolito sentirlo dissertare di filosofia con interlocutori spesso tutt’altro che interessati.”

 

Un romanzo lirico, scritto con delicatezza che coinvolge e avvolge come la brezza marina che caratterizza gli scorci greci narrati. Intrecci di personaggi che si evolvono nel corso della storia all’insegna di un destino già scritto o forse ancora tutto da intessere?

Anche quando pensiamo che le nostre scelte siano ormai determinanti per tutto il corso della nostra esistenza e che non ci sia modo per imboccare una nuova strada, si presenta davanti a noi un sentiero che non abbiamo ancora percorso a dimostrarci che il libro della nostra vita possiamo scriverlo noi, ogni giorno, basta un punto e andare a capo. A volte è la vita a stessa a sbatterci in faccia i nostri errori, le nostre debolezze e a darci quello scossone per cambiare l’ordine delle cose.

Un piccolo grande regalo per noi lettori con le sue atmosfere, gli scorci, le emozioni e le sensazioni. Pagina dopo pagina ci immergiamo nel mare degli eventi, viviamo questo percorso di formazione interiore dei protagonisti, diventiamo abitanti anche noi e ci interroghiamo, tra un passo e l’altro, tra una suggestione e una corsa tra i vicoli, su quale possa essere la via che conduce alla felicità e la chiave che apre la porta per farci uscire dal nostro angolo solitario, per scoprire cosa c’è al di là dei nostri filtri di protezione dal mondo.

“Amicizie di sempre, amori sconosciuti, sofferenze represse che corrono dentro a un tempo sempre uguale. Soffi di vita che si attorcigliano attorno a un destino incerto che si scrive senza possibilità di errore, fatto di attimi intensi e solitudini dell’anima che si alternano, come la luna lascia posto al sole. Pagine di un libro aperto su una terra meravigliosa, colorata di mare, nella quale si può trovare ogni cosa e ogni cosa si finisce per perdere, fino a quando non si smetta di cercarla. E occhi limpidi che sanno guardare, cercando di dimenticare i giorni sbagliati, e smettere di attendere qualcosa che non arriverà mai. Anche questa, può essere la vita.”

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Teresa Papavero e La Maledizione di StrangolaGalli

Editore: Giunti

Sinossi
Superati i quaranta un uomo diventa interessante, una donna zitella. Ma Teresa Papavero non se ne cruccia, ha ben altre preoccupazioni.
Dopo avere perso l’ennesimo lavoro in circostanze a dir poco surreali decide di tornare a Strangolagalli, borghetto a sud di Roma nonché suo paese nativo, l’unico posto dove ricominciare in tranquillità. E invece la tanto attesa serata romantica con Paolo, conosciuto su Tinder, finisce nel peggiore dei modi: mentre Teresa è in bagno, il ragazzo si butta dal terrazzo.
Suicidio? O piuttosto, omicidio? Il maresciallo Nicola Lamonica, il primo ad accorrere sul luogo, è abbastanza confuso al riguardo. Non lo è invece Teresa che, dotata di un intuito fuori del comune, capisce alla prima occhiata che qualcosa non va. Il fatto è che non le crede nessuno. Tantomeno Leonardo Serra, l’affascinante quanto arrogante poliziotto arrivato per indagare sulla morte del giovane.
A peggiorare la situazione la misteriosa scomparsa di Monica Tonelli, una delle ospiti del B&B che Teresa ha aperto nella casa paterna con la complicità di Gigia, la sua amica del cuore. Tutto il paese è in subbuglio perché la sparizione della donna viene addirittura annunciata nel famoso programma “Dove sei?” e a indagare sulla Tonelli arriva proprio l’inviato di punta, Corrado Zanni. Per Teresa davvero un periodo impegnativo, coinvolta in indagini dai risvolti inaspettati e perseguitata dalle ombre del passato: la scomparsa della madre e il burrascoso rapporto col padre, il noto psichiatra Giovan Battista Papavero.
E così, tra affascinanti detective, carabinieri di paese, reporter d’assalto e misteriosi sconosciuti, Teresa si trova risucchiata in una girandola di intrighi, in un susseguirsi di imprevedibili colpi di scena. Tanto a Strangolagalli non succede mai niente!

RECENSIONE

Passeggiando con l’autrice tra i vicoli del borgo medievale di Strangolagalli, tra un sorriso, una risata e un brivido, assistiamo a un’inchiesta ricca di intrighi e colpi di scena, che destabilizzeranno la tranquillità degli abitanti.

Strangolagalli è una pittoresca cittadina situata su un colle di forma pressoché circolare. “Un nome che etimologicamente, però, nonostante risulti facile l’assonanza, non ha nulla a che vedere con i pennuti, ma sta indicare la sua forma circolare.”

L’autrice con questo libro comincia l’inizio di una trilogia, all’interno della quale i personaggi e gli eventi che vi susseguono, sono ben delineati e descritti, da sembrare il manoscritto di una sceneggiatura teatrale.

Immergendoci nella quotidianità dei cittadini di Strangolagalli, riusciamo a vivere le loro emozioni e ad immaginare le loro voci, tanto che a libro chiuso possiamo mantenerli vivi nel nostro immaginario, anche nella vita reale.
Con leggerezza, ironia e tanto umorismo, l’autrice racconta un giallo che ha come protagonista Teresa Papavero, una donna molto eccentrica.
Considerata un po’ scema da tutti, possiede grandi capacità mnemoniche, e grazie alla sua determinazione e al suo spirito d’iniziativa, è di grande aiuto alle indagini del maresciallo Lamonica.

“Le persone non arrivi mai a conoscerle veramente.”
È questo il motto che ha accompagnato Teresa dall’adolescenza sino ai suoi quarantadue anni suonati. La sua fiducia verso il prossimo e se stessa si è sbriciolata, da quando sua madre l’ha abbandonata.

Figlia di un uomo importante, è una donna viziata, insomma “aveva avuto la fortuna di nascere dalla parte giusta be’ con un padre sempre pronto a soccorrerla.”
Dopo l’ennesima delusione lavorativa ritorna nel piccolo borgo, dove incontra Paolo… La morte di Paolo, e il pensiero che si fosse tolto la vita così giovane, conducono Teresa in uno stato d’inquietudine, riportandola indietro di qualche anno: alla scomparsa della madre. Un periodo della vita che l’aveva segnata molto, smettendo di vivere ma evitando gesti estremi. E comunque, ricordando le parole di suo padre “ il passato ha un ruolo decisivo sulle azioni che si commettono al presente!”

L’immagine che arriva al lettore di Teresa è quella di una donna che non si è mai sentita all’altezza degli affetti che più le stavano vicino, ma soprattutto della vita. Nel corso della lettura assistiamo ad una metamorfosi della protagonista, constatando che il vero problema è l’opinione che lei ha di se stessa.
Il senso di abbandono e di sottomissione che l’ha accompagnata in questi anni, è finito.

“Non esiste un nascondiglio sicuro quando hai il passato alle costole, perché quello, prima o poi, ti raggiunge.”

Buona lettura.

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Album di famiglia

Ciao circolo,

oggi vi consiglio una lettura da non perdere!

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Nora, fin da giovane, aveva optato per la solitudine in nome dell’indipendenza. Se questa scelta non aveva mai pesato troppo per lei, dopo la morte della sua amata madre la protagonista si trova ad affrontare un dolore troppo grande per chi non ha nessuno a cui aggrapparsi. Prima di morire, la donna le aveva lasciato un raccoglitore nel quale aveva racchiuso le pagine della sua vita, quella che aveva sempre tenuto nascosta alla sua famiglia. Immergendosi nel suo passato del tutto inaspettato, Nora dà sfogo a tutta l’emotività che aveva finora represso, abbattendo la barriera che da sempre la separava dagli altri individui. In questo modo Marco, con la sua dolcezza e la sua sensibilità, riuscirà a farsi largo nella sua vita e a darle il giusto sostegno nella scoperta di una verità che va oltre le vicende private di una donna che ha voluto liberarsi dal peso dei suoi segreti.

“Quante vite racchiuse in una sola penna e in un solo destino. Quante storie da scoprire e da cui imparare. Ognuna coi suoi drammi e ognuna coi suoi perché. Ognuna con le proprie scuse e giustificazioni. Ognuna con la casa in cui aveva scelto di abitare, delle quali dipingere i muri e usare i fornelli. Ogni vita è un capitolo di scelte e ogni scelta è l’immagine riflessa di quando invecchiamo. Se in passato abbiamo scelto quello che volevamo, i capelli bianchi e le rughe diventano segni di vita che accarezziamo con fierezza. Se abbiamo scelto quello che era giusto, rappresentano segni di sconfitta e di delusione. È triste da dirsi, ma il male che ci distrugge, la maggior parte delle volte, è causato da noi stessi. Così ci ammaliamo. Cerchiamo cure e sconosciuti con cui parlare per capire l’origine del problema, ma non cambia molto e finiamo per odiare ciò che abbiamo fatto e rimpiangere quello che possiamo solo sognare di notte.”

La penna dell’autrice è sempre dolce e delicata anche quando deve coinvolgerci nei sentimenti più profondi e crudi, anche quando ci porta a riflettere sui nostri inciampi di vita e sulle nostre fragilità. “Album di famiglia” è uno di quei romanzi familiari che sa parlare di noi e per noi, che non usa artifici, ma solo parole che fluiscono dall’anima che sia in una lettera, in un dialogo o in una riflessione. La forza narrativa e comunicativa dell’autrice risiede nell’essere semplicemente e inevitabilmente vera e reale in tutti i momenti della storia. Un romanzo da leggere e rileggere.

“Ognuno aveva pagato per una fetta di vita… Le macchie però, dopo tanto tempo, formano un arcobaleno di colori. Ci piangi sopra e i colori si sfumano. Così nulla è davvero perso: per una parte che scompare ce n’è una nuova da colorare.”

Link di acquisto: Album di famiglia di Maria Capasso 

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L’Autunno Graphofeel Edizioni

Ciao circolo,

siete pronti a scoprire le meravigliose novità editoriali che ci ha riservato Graphofeel Edizioni per l’autunno? Arriveranno in libreria e sul loro bookshop on line il 18 ottobre. #staytuned

Essere curiosi allunga la vita? Forse no, ma probabilmente affacciarsi al mondo della musica la rende migliore.

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“Applaudire con i piedi” si propone come una guida semplice ma ricca di originali suggestioni per chi intenda accostarsi alla musica classica. Farinelli, il principe dei castrati, Florence Foster Jenkins, il peggior soprano di cui si abbia notizia, Nannerl Mozart, la sorella ignorata del genio, popolano le pagine di questo affresco popolare della musica colta. Un’occasione per scoprire quanto la musica classica sia presente nella nostra vita quotidiana.

Oggi presentazione in super anteprima al Parma Music Film Festival, tutti i dettagli sulla pagina facebook dell’editore

“I duchi la circondavano, Lucrezia poteva vedere solo i loro volti. Non le parlavano, la osservavano”.

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La laureanda in Storia dell’arte, Lucrezia, sensibile e curiosa, si trova coinvolta in una “missione artistica” ai confini della realtà. Accompagnata dalle amiche, Greta e Livia, sempre prodighe di consigli, vive l’esperienza della tesi di laurea in modo piuttosto originale, incontrando personaggi misteriosi come Giovanni, arruffato ma affascinante, Sara, logorroica e ambigua e la Duchessa Battista Sforza, colta e raffinata…

Vi facciamo vedere inoltre in super anteprima #coverreveal la copertina dell’esordio di una giovane scrittrice di grande talento che ci porterà nel mondo di Super Mario insieme alla sua protagonista Alice.

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Tutti i meravigliosi #LibriGraphofeel vi aspettano il prossimo weekend a Firenze Libro Aperto, non mancate!

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Ulisse, eroe degli eroi

Cari lettori, oggi vi trasporterò nel regno di Itaca per conoscere Ulisse: “Eroe degli Eroi”.

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Ulisse fu il re di Itaca (detta Terra del Sole), dove viveva con sua moglie e suo figlio. Un giorno fu incaricato di andare in guerra contro Troia, per salvare la moglie del re di Sparta, un suo fedele amico. Arrivati a Troia con le navi, costruirono un accampamento e cercarono di entrare nella città, ma ogni tentativo non andò a buon fine. Allora Ulisse, dotato di grande furbizia e astuzia, fece costruire un gigantesco cavallo cavo e nascondendosi al suo interno riuscì a ingannare i Troiani e a vincere la guerra. Durante il ritorno in patria, un forte vento spinse la flotta navale nella terra dei Ciclopi, Ulisse e i suoi soldati furono trattenuti da Polifemo nella sua tana, nella quale ogni giorno mangiava due soldati. Ulisse ancora una volta mise in pratica la sua furbizia ingannando Polifemo e riuscendo a scappare dal Ciclope. Dopo essere fuggiti il vento li trasportò sull’isola Eolia. Il re Eolo alla vista di Ulisse, l’eroe di Troia, lo accolse con tutti gli onori. Dopo aver trascorso un mese a raccontare le sue eroiche imprese, alla sua partenza il re gli donò un gigantesco otre, all’interno del quale erano conservati tutti i venti che soffiavano sul mare, tranne lo Zefiro che gli servì per raggiungere Itaca. Ulisse durante il suo cammino trovò tre ostacoli che fecero perdere la vita ai suoi soldati, ma lui riuscì ad arrivare sano e salvo nel suo regno.

Ulisse, è stato uno degli eroi più descritti nella letteratura. Le sue gesta sono state talmente eroiche, che le illustrazioni del libro rendono perfettamente bene l’idea. Inoltre, la sua saggezza e curiosità lo hanno salvato in diverse occasioni; come quando il canto ammaliatore delle sirene lo stava mettendo in pericolo. L’astuzia di Ulisse fu più veloce, infatti disse ai suoi marinai di indossare tappi di cera nelle orecchie, invece lui si fece legare a un albero poiché era affascinato da quel canto.

Buona lettura.

Alessio Giuseppe Zanaga

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Einstein, genio senza confini

Ciao amici lettori, oggi vi parlo di Albert Einstein: “Genio senza confini”.

Inizialmente si pensava che Albert fosse un po’ “scemo”, perchè se ne stava in un angolo della stanza in silenzio a osservare il migrare degli uccelli. Era molto appassionato di violini, già prima dei 15 anni eseguiva sonate di Mozart e di Beethoven, e suonava anche il pianoforte.

Quando frequentava il ginnasio non gli era permesso fare domande, ma la sua curiosità lo spingeva a voler sapere e conoscere ogni cosa.

A lui piaceva fare gite in barca e lunghe passeggiate con i suoi amici, discutendo di fisica e matematica; spesso Albert rischiava di cadere nei dirupi, perchè tali confronti lo staccavano dalla realtà .

Si sposò con Mileva ed ebbe due figli, e mentre studiava dondolava la culla e fumava un sigaro!

Quando iniziò a lavorare pubblicò gli articoli con le sue teorie e d’ un tratto il suo studio diventò una classe, dove Albert insegnava le sue conoscenze.

All’epoca della prima guerra mondiale tutti i suoi collaboratori aiutarono con le loro teorie i tedeschi, ma Albert di origini ebrea non contribuì.

Il 7 novembre 1919 diventò la persona più importante del mondo e nel 1921 gli fu consegnato il premio Nobel per la fisica.

Ho trovato questo libro molto interessante e scoprire quanto sia stato intelligente e geniale Einstein mi ha fatto molto emozionare.
Curiosando sul web ho trovato certe stranezze riguardo la sua persona che mi hanno fatto sorridere, come ad esempio: non indossava mai i calzini, e i suoi occhi e le sue rughe sono stati presi come ispirazione per creare il viso del personaggio ”Yoda” in Star Wars. Ce ne sono altre che invece mi hanno fatto rabbrividire, quella in cui i suoi occhi sono conservati in una cassetta di sicurezza a New York, e ancora che il suo cervello, dopo la sua morte, fù rimosso e riposto in un barattolo per vent’anni.
Io voglio ricordarlo per la sua brillante mente e per aver scoperto: “che l’energia contenuta nella materia è uguale alla massa in grammi moltiplicata per il quadrato della velocità della luce.”

E=mc²

“Il GENIO ė per l’1% TALENTO e per il 99% FATICA”
~Albert Einstein~

Alessio Giuseppe Zanaga

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Le ricette della signora Tokue

Einaudi editori

Sinossi

Sentarō è un uomo di mezza età, ombroso e solitario. Pasticciere senza vocazione, è costretto a lavorare da Doraharu, una piccola bottega di dolciumi nei sobborghi di Tōkyō, per ripagare un debito contratto anni prima con il proprietario. Da mattina a sera Sentarō confeziona dorayaki – dolci tipici giapponesi a base di pandispagna e an, una confettura di fagioli azuki – e li serve a una clientela modesta ma fedele, composta principalmente da studentesse chiassose che si ritrovano lí dopo la scuola. Da loro si discosta Wakana, un’adolescente introversa, vittima di un contesto familiare complicato. Il pasticciere infelice lavora solo il minimo indispensabile: appena può abbassa la saracinesca e affoga i suoi dispiaceri nel sakè, contando i giorni che lo separano dal momento in cui salderà il suo debito e riacquisterà la libertà. Finché all’improvviso tutto cambia: sotto il ciliegio in fiore davanti a Doraharu compare un’anziana signora dai capelli bianchi e dalle mani nodose e deformi. La settantaseienne Tokue si offre come aiuto pasticciera a fronte di una paga ridicola. Inizialmente riluttante, Sentarō si convince ad assumerla dopo aver assaggiato la sua confettura an. Sublime. Niente a che vedere con il preparato industriale che ha sempre utilizzato. Nel giro di poco tempo, le vendite raddoppiano e Doraharu vive la stagione piú gloriosa che Sentarō ricordi. Ma qual è la ricetta segreta della signora Tokue? Con amorevole perseveranza, l’anziana signora insegna a Sentarō i lenti e minuziosi passaggi grazie ai quali si compie la magia: «Si tratta di osservare bene l’aspetto degli azuki. Di aprirsi a ciò che hanno da dirci. Significa, per esempio, immaginare i giorni di pioggia e i giorni di sole che hanno vissuto. Ascoltare la storia del loro viaggio, dei venti che li hanno portati fino a noi». Come madeleine proustiane, i dolcetti giapponesi diventano un pretesto per i viaggi interiori di Sentarō e Tokue, fra i quali si instaura un legame profondo che lascia emergere segreti ben piú nascosti e ferite insanabili. Con l’autunno, però, un’ombra cala sulla piccola bottega sotto al ciliegio: quando il segreto di Tokue viene alla luce, la clientela del negozio si dirada e la donna, costretta a misurarsi di nuovo con il pregiudizio e l’ostracismo sociale che l’ha perseguitata per tutta la vita, impartirà a Sentarō e Wakana la lezione piú preziosa di tutte. Le ricette della signora Tokue è una favola moderna sull’amicizia, la libertà e la resilienza. Un’ode alla vita di palpabile sensualità che ci insegna a trovare la grazia nell’inaspettato e la felicità nelle piccole cose.

RECENSIONE

Con delicatezza e con grazia l’autore racconta una storia piena di sentimenti e dolore, evocando poeticamente un paesaggio straordinario, come quello della fioritura dei ciliegi, che ci insegna il senso della vita, e esaltando i piaceri del palato, attraverso la preparazione di dolcetti.

Ferma sull’incantevole ciglio del viale Sakuradõri, dove “I fiori del ciliegio antistante sono nel pieno del loro rigoglio, e brulicano come piccole nuvole appese ai rami”, gli occhi di Sentarō incrociano quelli dell’anziana Tokue, affacciarsi alla sua bottega di dorayaki, dolci tipici giapponesi. Tokue, aveva risposto al suo annuncio di lavoro, ma Sentarō accetta con riserva il suo aiuto. L’anziana signora che ha sofferto terribili sofferenze nella sua vita, reduce dalla malattia di Hansen, insegna a Sentarō a cucinare gli azuky, dai quali ricava una marmellata chiamata “an”. Nonostante Tokue avesse un serio problema alle mani, nella preparazione degli azuky ci mette passione e sentimento, garantendo un aroma eccezionale alla confettura di fagioli.

L’aroma e il sapore dell’an di Tokue, stimolano i ricordi di Sentarō. Come una scintilla ridestano situazioni sopite da tempo, emozioni e momenti che aveva dimenticato. Viaggiando nel tempo gli affiora alla mente l’immagine di sua madre, “curva sul tavolino a vergare abilmente una lettera con il pennello”, che lo indirizzava verso l’arte della scrittura. Infatti, il suo sogno era diventare scrittore, ma la sua vita ha preso una rotta diversa.

In queste pagine i protagonisti pur avendo vissuto situazione di abbandono, di emarginazione e di sconfitta non sono dei perdenti, perché nella preparazione di questo dolce sono riusciti a trovare il sapore della vita. Ecco, bisogna avere la capacità di ascoltare le cose, infatti seconda la nostra protagonista, ma questo è il fondamento della cultura giapponese, tutte le cose del mondo hanno il dono della parola, ad esempio “basta prestare ascolto al mormorio delle stelle per sentire lo scorrere del tempo.”

Nonostante, la legge sulla prevenzione dei malati di lebbra era stata abolita, Tokue viveva ancora segregata nel Tenseien. Qui preparava dolci per nutrire le persone che avevano versato solo lacrime, e anche se a tutti i malati era stata concessa la libertà ormai erano troppo vecchi, il tempo era stato perduto e soprattutto era impossibile tornare indietro. Per la nostra amica l’unico modo per continuare a vivere era diventare come i poeti, bisognava far correre l’immaginazione, “perché a guardare la realtà così com’era veniva voglia di morire.”

Tra il frinire delle cicale tra le foglie di ciliegio, e la brezza rinfrescante all’ora del tramonto, ammaliati da questo paesaggio incantevole, ci aggiorniamo che non è un libro triste ma di speranza e di conforto. Infatti, ci comunica che dinnanzi ai pregiudizi, alle oppressioni e al dolore, dobbiamo rialzarci e andare avanti trovando la forza interiore che ci permette di realizzare i nostri sogni, ascoltando quella voce che ci aiuta a far bene ciò che amiamo. Perché la nostra vita non è mai uniforme ci sono attimi in cui il colore cambia di colpo.

“… per quanto gravi siano le perdite e le vessazioni che subiamo, siamo esseri umani. Anche se abbiamo perso tutti e quattro gli arti, dal momento che questa malattia non è mortale dobbiamo continuare a vivere. In questa lotta disperata, passata a dimenarsi nella profondità delle tenebre, ci siamo aggrappati a quell’unico punto fermo: eravamo esseri umani e cercavamo di salvaguardare il nostro orgoglio.”

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Margherita Hack, esploratrice delle stelle

Margherita Hack: una vita illuminata dalla luce delle stelle.

La storia di una scienziata ribelle e spericolata capace di svelare i segreti del cosmo.

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Oggi vi parlo di Margherita Hack, un’astrofisica molto curiosa nata e cresciuta nell’epoca del fascismo, a Firenze.

Suo padre lavorava in una fabbrica elettrica, ma, dopo un po’, essendo un antifascista venne licenziato.

Margherita studiava molto ma riteneva che, apprendere cose che tutti sapevano era noioso, invece scoprire cose nuove era più interessante.

Ci fu un periodo in cui le università chiusero e lei fu mandata in un osservatorio astronomico; si innamoro subito dell’ astrofisica e iniziò a studiare le stelle, in particolare le Cefeidi.

Tutti le dicevano che era una perdita di tempo, ma lei continuò a studiare, finché, dopo un bel po’ di tempo, ricevette l’invito al convegno di astronomia più importante del mondo e grazie a Otto Struve, astrofisico molto famoso, iniziò a studiare in un’ università in California.

Da lì si trasferì a Trieste in un altro osservatorio astronomico dove completò i suoi studi.

Un professore le disse che per lui il suo segreto era la tecnica, ma in realtà il suo segreto era l’immaginazione. Dove gli altri osservavano e basta, lei osservava e immaginava. Infatti per lei immaginare non significava inventare, ma: “Vedere l’Invisibile”.

Margherita Hack è stata la prima donna italiana a dirigere un osservatorio astronomico e a difendere i diritti civili; ha lasciato a tutti noi una luminosa e magnifica eredità come le stelle.

 

Alessio Giuseppe Zanaga

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La Nemica

Edizioni: Neri Pozza

Sinossi

Parigi, giugno 1786. Il silenzio del mattino è trafitto da uno strillo roco, disperato. Cercando di farsi largo tra la folla che affluisce al Palazzo di Giustizia, il giovane Marcel de la Tache, giornalista alle prime armi, si trova dinnanzi a uno spettacolo senza precedenti: migliaia di persone circondano il patibolo sopra cui si dibatte una donna con le vesti stracciate. Da sola tiene testa a quattro uomini. Soltanto il boia di Parigi, Henri Sanson, un gigante con un grembiule di cuoio, un berretto di pelo e una frusta in mano, se ne sta tranquillo accanto a un braciere fumante, pronto a infliggere alla prigioniera il marchio del disonore. Chi è quella tigre inferocita? E quale delitto orrendo ha commesso per essere condannata alla pubblica fustigazione e marchiata a fuoco come una ladra? Marcel de la Tache lo ignora. Impressionato e, suo malgrado, affascinato dalla bellezza di quella belva selvaggia, si interessa al caso. Scopre che la condannata è Jeanne de la Motte, un’avventuriera con il sangue dei re Valois nelle vene. Si è macchiata di tre gravi reati: furto, falso e lesa maestà. La donna, fingendo di agire per conto di Maria Antonietta, ha convinto il grande elemosiniere di Francia, il cardinale Rohan, a comprare e consegnarle un favoloso collier di diamanti con oltre seicento pietre tra le più belle d’Europa. Ammaliato dalla donna che ha infangato il nome della regina, frodato il cardinale Rohan e l’intera Francia, Marcel decide di farle visita in carcere. Una scelta destinata a condurlo su strade pericolose quando Jeanne gli chiederà di aiutarla a evadere. Attraverso una prosa elegante e agile, Brunella Schisa fa rivivere nelle sue pagine la più grande truffa del XVIII secolo, a opera di uno dei personaggi femminili più affascinanti della storia: Jeanne Valois, contessa de la Motte, che nei suoi memoir si firmava «la nemica mortale» di Maria Antonietta.

Recensione

La Nemica è un libro che si evolve in un periodo storico molto particolare per la Francia, nel quale assistiamo alle fine dell’Ancién Régime e l’inizio della Rivoluzione francese.
Negli anni in cui Maria Antonietta non comprendeva le volontà del popolo, Parigi era una latrina a cielo aperto, e la frivolezza e lo sfarzo era l’atmosfera che si respirava a corte, si intreccia una storia particolare: “lo scandalo della collana”.
Una vicenda tra le più narrate dalla letteratura.

In una veste romanzesca, ma attraverso uno studio accurato e meticoloso, l’autrice ci racconta una storia che ha incuriosito molti scrittori, tanto da versare fiumi d’inchiostro.
La Nemica è stata una lettura piacevole e interessante, ricca di riferimenti storici, precisa nella ricostruzione dei fatti, ad esempio nell’autenticità degli interrogatori dei processi e nelle tante citazioni. Inoltre nel racconto, “dell’affeire du collier”, l’autrice introduce l’espediente narrativo. Infatti attraverso la figura di Marcel, conduce il lettore tra le strade in rivolta di Parigi o tra le braccia tentatrici di Jeanne, colei che è riuscita a raggirare tutta la corte francese.

Brunella Schiusa, racconta la storia di un processo che fece scalpore e che vide frustare e marchiare una donna col sangue di Francia: Jeanne Valois de La Motte.
Il protagonista della storia è un favoloso girocollo che pare una festa di brillanti, composto da “diciassette diamanti grandi da cui partono festoni con sei pendenti a forma di pera; il tutto incorniciato da quattro lunghe fasce di diamanti disposto in tre file . Le due fasce interne si incontrano all’altezza del seno per formare la lettera M, la dove si incrociano splende un diamante enorme. Le fasce poi proseguono verso la cintola e la collana finisce con quattro nappe scintillanti.”
Tale collana era stata offerta parecchie volte a Maria Antonietta, ma l’aveva sempre rifiutata, in quanto sosteneva che “La Francia ha bisogno di navi più che di diamanti! Il mio scrigno è pieno di brillanti.”
Il cardinale Rhoan, l’uomo che la regina detestava più a corte, abusando del nome di Maria Antonietta e raggirato dalla mente diabolica di Madame de La Motte, riuscì ad acquistare la collana esponendosi in prima persona come tramite tra la sovrana e i gioiellieri.

Purtroppo lo scandalo esplose e durante il processo l’unica condannata fu Madame de La Motte, la quale fu marchiata con la lettera “V”.
“V” che stava per “voleur” (ladra), era il sigillo dell’infamia che il carnefice imprimeva sulla carne del condannato.
Prima fustigata e poi marchiata, Jeanne fu reclusa nella Grande Forza della Salpêtrière.
“Il marchio di infamia che Jeanne portava sul corpo era la giusta punizione alla sua anima dannata”.
Si apre così un romanzo pieno di dettagli e di personaggi storici realmente esistiti, eccetto per Marcel de La Tâche, sua moglie Charlotte e il suo collaboratore.
Ad incuriosire ancora di più il lettore alla storia sarà il giornalista Marcel, il quale dopo aver assistito alla marchiatura, affascinato dai fatti e soprattutto dalla bellezza e dalla vivacità di Jeanne, resta impigliato in questa situazione, tanto da essere intenzionato a scrivere la sua verità sulla “Gazette”, nonostante il giornale seguisse severe regole di censura.
Jeanne, sfrontata e incantatrice era un genio dell’inganno, e dopo i due anni di prigionia, era carica di rabbia e odio nei confronti della regina, tanto da scrivere oscenità e ribaltare gli eventi nel suo “memorie”.
“Una grande regina e un principe vestito con la porpora romana mi hanno coinvolta in un terribile scandalo, disonorandomi e umiliandomi. Dal momento in cui, per una specie di miracolo, ho posato il piede su questa terra straniera, dove la libertà offre asilo ai perseguitati, ho deciso di strappare il velo che troppo a lungo accennato questo intrigo. Racconterò vicende e personaggi il cui crimine è aggravato dalla loro posizione elevata”.

Nonostante, il suo libello fosse immorale e piena di falsità, Jeanne era intenzionata a fare solo del male alla regina e ledere la sua dignità.

“Istruire Jeanne de la Motte nell’arte della finzione era come insegnare a un uccello a volare, a un pesce a nuotare, a una fiera ad azzannare. Delle simulazioni era la regina, una commediante nata.”

Passata dalle braccia della regina a quelle del boia, Jeanne nel suo manoscritto accusava Maria Antonietta di averla sedotta e poi consegnata al suo carnefice e pertanto la additava come “mostro di lussuria e di impudicizia”, “flagello del popolo”, “megera impietosa”, firmandosi come “La tua nemica mortale”.

“Ma il giorno di regolare i nostri conti è giunto. Mi presenterò nell’arena e trascinerò con me la mia aguzzina. Deluderò fiera il mio petto e mostrerò la mie orribili cicatrici. I marchi del disonore, fino a ieri Incancellabili, sono oggi le gloriose stigmate d’una patriota! Trema, miserabile, trema!”

Una storia che mi ha letteralmente ipnotizzata, lasciandomi a bocca aperta dinnanzi all’anima furiosa di Jeanne, la quale credendo nel potere delle parole era convinta che i suoi manoscritti avrebbero influenzato il destino dei regnanti.